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La fine dell'italiano (e della sua terra di origine)
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In questa sezione si possono affrontare gli argomenti più vari NON attinenti il mondo delle penne e della scrittura, ma soltanto quelli. Tutto quello che riguarda le stilografiche e gli altri argomenti del forum per cui esistono delle sezioni specifiche del forum NON deve essere inserito in questa sezione. Fa eccezione l'argomento "Il mio ultimo acquisto" in in cui è consentito citare l'ultimo acquisto di una stilografica (nelle modalità indicate qui).
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- Ottorino
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La fine dell'italiano (e della sua terra di origine)
Certo che ha ragione il buon @RisottoPensa. Si cerca in inglese, (per me tedesco e altro sono preclusi) ma si parla italiano.
Io ci sono in mezzo per lavoro, e mi faccio rabbia quando in automatico mi viene l'inglese. Magari anche a proposito, ma mi faccio rabbia lo stesso.
Poi mi piace usare parole forse desuete. "Veretta" mi lascia un buon sapore: "anellino" non ce la fa
Io ci sono in mezzo per lavoro, e mi faccio rabbia quando in automatico mi viene l'inglese. Magari anche a proposito, ma mi faccio rabbia lo stesso.
Poi mi piace usare parole forse desuete. "Veretta" mi lascia un buon sapore: "anellino" non ce la fa
C'è rimedio ? Perché preoccuparsi ? Non c'è rimedio ? Perché preoccuparsi ?
Un bel panorama si vede dopo una bella salita
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La fine dell'italiano (e della sua terra di origine)
Esme, quei numeri che anche tu hai scritto di aver sentito, li avevano menzionati non ricordo in quale contesto: se fosse un documentario, un servizio in tv o altro. E non ricordo se fosse nello stesso servizio che c'era una intervista/dichiarazione di uno scrittore sudamericano o spagnolo, non ricordo se Garcia Marquez o un altro, che per un periodo insegnò in una università americana e si diceva stupito da quanto fossero ignoranti gli studenti nell'inglese tant'è che c'erano dei corsi di lingua basici.
Al proposito un'americana che frequentai secoli orsono una volta mi disse "...il tuo inglese è migliore di quello della media degli americani..." non perchè fosse chissà che, ma perchè loro parlano da cani. Con tutto il rispetto per i meravigliosi animali.
Per superiorità culturale intendo realmente superiorità culturale dovuta a cause diverse. Ma qui entreremmo in un discorso che cambierebbe il contenuto di questo argomento.
Al proposito un'americana che frequentai secoli orsono una volta mi disse "...il tuo inglese è migliore di quello della media degli americani..." non perchè fosse chissà che, ma perchè loro parlano da cani. Con tutto il rispetto per i meravigliosi animali.
Per superiorità culturale intendo realmente superiorità culturale dovuta a cause diverse. Ma qui entreremmo in un discorso che cambierebbe il contenuto di questo argomento.
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Anche a me capita la stessa cosa a lavoro: uso alcuni termini che in verità hanno una traduzione in italiano, però dato che nei nostri gestionali (che in larga parte sono in inglese) vi sono i termini in inglese, spesso finisco per dire quelli anche se so la traduzioneOttorino ha scritto: ↑mercoledì 12 novembre 2025, 12:58 Io ci sono in mezzo per lavoro, e mi faccio rabbia quando in automatico mi viene l'inglese. Magari anche a proposito, ma mi faccio rabbia lo stesso.
Poi mi piace usare parole forse desuete. "Veretta" mi lascia un buon sapore: "anellino" non ce la fa
Quando si tratta delle penne cerco il più possibile di usare termini in italiano: ho tolto l'iscrizione a uno youtuber italiano perché nelle recensioni continuava a dire cose come "il nib è in acciaio e il feeder è in plastica", ma dire "pennino" e "alimentatore/conduttore" è così difficile?
L'unica cosa che non mi entra in testa è "fermaglio", spesso uso "clip".
P.S. io in verità distinguo tra anellino e veretta, nel senso che per me il primo è più sottile e comunque semplice, senza decorazione, mentre la seconda è più spessa e presenta decorazioni/incisioni... Sbaglio qualcosa? Sono perfettamente sinonimi?
Qui però scusa bisogna distinguere i due piani, quello della lingua e quello dei parlanti: non si può dire che una lingua sia più "povera" se i parlanti non conoscono o comunque non usano quotidianamente i termini della loro lingua, quello è un problema d'uso, un po' come la questione del congiuntivo in italiano: esiste, ma molti madrelingua non lo usano quotidianamente o in modo corretto.lleo ha scritto: ↑mercoledì 12 novembre 2025, 13:35 Esme, quei numeri che anche tu hai scritto di aver sentito, li avevano menzionati non ricordo in quale contesto: se fosse un documentario, un servizio in tv o altro. E non ricordo se fosse nello stesso servizio che c'era una intervista/dichiarazione di uno scrittore sudamericano o spagnolo, non ricordo se Garcia Marquez o un altro, che per un periodo insegnò in una università americana e si diceva stupito da quanto fossero ignoranti gli studenti nell'inglese tant'è che c'erano dei corsi di lingua basici.
Poi un'altra cosa: noto che parli sempre degli "americani" (statunitensi), ma l'inglese è la lingua madre non solo di loro, ma anche degli abitanti di Canada, Regno Unito, Irlanda, Australia, Sudafrica ecc. (ciascuno con le proprie variazioni interne), quindi diventa un po' complicato capire bene se e dove l'inglese sia parlato "bene".
Ultima modifica di Enbi il mercoledì 12 novembre 2025, 14:51, modificato 1 volta in totale.
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Si questo è vero. L'inglese inglese è quello che parlano in Inghilterra. Anzi quello nato in Inghilterra perchè anche lì parlano diversamente tra nord e sud. Come dovunque d'altronde.E la mia più grande sfortuna è che avendolo imparato tramite gli americani, la mia parlata purtroppo è yankee. Tant'è che l'estate scorsa parlando con degli australiani che si erano sbagliati con i sensi delle strade uno di loro mi ha detto "...se non dicessi che sei italiano uno che ti sente parlare direbbe che sei americano". Gli ho risposto (scherzando) che era un'offesa ma ho dovuto subito specificare che scherzavo perche la sua espressione sembrava preoccupata.Enbi ha scritto: ↑mercoledì 12 novembre 2025, 14:35Qui però scusa bisogna distinguere i due piani, quello della lingua e quello dei parlanti: non si può dire che una lingua sia più "povera" se i parlanti non conoscono o comunque non usano quotidianamente i termini della loro lingua, quello è un problema d'uso, un po' come la questione del congiuntivo in italiano: esiste, ma molti madrelingua non lo usano quotidianamente o in modo corretto.lleo ha scritto: ↑mercoledì 12 novembre 2025, 13:35 Esme, quei numeri che anche tu hai scritto di aver sentito, li avevano menzionati non ricordo in quale contesto: se fosse un documentario, un servizio in tv o altro. E non ricordo se fosse nello stesso servizio che c'era una intervista/dichiarazione di uno scrittore sudamericano o spagnolo, non ricordo se Garcia Marquez o un altro, che per un periodo insegnò in una università americana e si diceva stupito da quanto fossero ignoranti gli studenti nell'inglese tant'è che c'erano dei corsi di lingua basici.
Poi un'altra cosa: noto che parli sempre degli "americani" (statunitensi), ma l'inglese è la lingua madre non solo di loro, ma anche degli abitanti di Canada, Regno Unito, Irlanda, Australia, Sudafrica ecc. (ciascuno con le proprie variazioni interne), quindi diventa un po' complicato capire bene se e dove l'inglese sia parlato "bene".
Ad esempio dato che mi sono relazionato quasi sempre con sudisti o centro-sudisti, c'era un tizio di Manhattan che quando apriva bocca non capivo neanche una parola di quello che diceva.
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La fine dell'italiano (e della sua terra di origine)
Arrivo tardi a dire la mia ma beccatevela!
Personalmente non sono una persona nostalgica. Quando leggo/sento qualcuno che urge al congelamento della cultura, mi viene spontaneo alzare gli occhi al cielo e sospirare.
La lingua italiana è nata dal cambiamento. E' nata dalle influenze che il mondo ha avuto sul territorio e da quelle che altri hanno importato da territori esterni.
Pretendere che resti fissa è, a mio avviso, assurdo.
Conservarne memoria è diverso dal congelarla e togliervi vita. E non ci manca la memoria dell'evoluzione che essa ha fatto nei secoli. Fortunatamente abbiamo inventato - a un certo punto nella storia - la scrittura, che ci aiuta a ricordare ogni passo che questa creatura ha fatto: essa e tutte le lingue, indo-europee o altre.
A questo proposito consiglio un podcast che parla esattamente di questo: da dove e come nasce la nostra lingua
https://www.ilpost.it/podcasts/l-invasione/
E' molto affascinante da ascoltare e ci fa capire che nulla nella cultura di un qualunque popolo è immutabile e non dovrebbe esserlo.
La lingua è spesso specchio di come il pensiero di una popolazione si evolve, in bene e in male. Bloccarla è come imbavagliare il suddetto popolo.
Poi ognuno può scegliere per sé stesso come usare la propria lingua, al di la delle regole grammaticali di base, che ci servono per poterci comprendere, per avere un codice comune da usare per costruire il nostro pensiero e veicolarlo nel modo corretto ed efficace.
Integrare vocaboli, modi di dire, culture altrui ha sempre fatto parte dell'essere umano, della sua natura e, onestamente, io la trovo davvero una bella cosa. I confini sono roba inventata; ci provano, a demarcare linee nette nel tessuto dell'umanità, azione che è - per sua natura - divisiva molto più che conservativa di un qualche concetto di qualità.
Sarà che a me piace sapere in che modo altri popoli si esprimono, trovo che arricchisca, molto più che impoverire.
Per sedare l'ansia da "invasione", in chiusura cito un comico americano che ha detto una cosa molto bella, a mio parere: "Everyone smiles in the same language" - Georg Carlin
Personalmente non sono una persona nostalgica. Quando leggo/sento qualcuno che urge al congelamento della cultura, mi viene spontaneo alzare gli occhi al cielo e sospirare.
La lingua italiana è nata dal cambiamento. E' nata dalle influenze che il mondo ha avuto sul territorio e da quelle che altri hanno importato da territori esterni.
Pretendere che resti fissa è, a mio avviso, assurdo.
Conservarne memoria è diverso dal congelarla e togliervi vita. E non ci manca la memoria dell'evoluzione che essa ha fatto nei secoli. Fortunatamente abbiamo inventato - a un certo punto nella storia - la scrittura, che ci aiuta a ricordare ogni passo che questa creatura ha fatto: essa e tutte le lingue, indo-europee o altre.
A questo proposito consiglio un podcast che parla esattamente di questo: da dove e come nasce la nostra lingua
https://www.ilpost.it/podcasts/l-invasione/
E' molto affascinante da ascoltare e ci fa capire che nulla nella cultura di un qualunque popolo è immutabile e non dovrebbe esserlo.
La lingua è spesso specchio di come il pensiero di una popolazione si evolve, in bene e in male. Bloccarla è come imbavagliare il suddetto popolo.
Poi ognuno può scegliere per sé stesso come usare la propria lingua, al di la delle regole grammaticali di base, che ci servono per poterci comprendere, per avere un codice comune da usare per costruire il nostro pensiero e veicolarlo nel modo corretto ed efficace.
Integrare vocaboli, modi di dire, culture altrui ha sempre fatto parte dell'essere umano, della sua natura e, onestamente, io la trovo davvero una bella cosa. I confini sono roba inventata; ci provano, a demarcare linee nette nel tessuto dell'umanità, azione che è - per sua natura - divisiva molto più che conservativa di un qualche concetto di qualità.
Sarà che a me piace sapere in che modo altri popoli si esprimono, trovo che arricchisca, molto più che impoverire.
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Grazie!Simy ha scritto: ↑domenica 16 novembre 2025, 3:19 Arrivo tardi a dire la mia ma beccatevela!![]()
Personalmente non sono una persona nostalgica. Quando leggo/sento qualcuno che urge al congelamento della cultura, mi viene spontaneo alzare gli occhi al cielo e sospirare.
La lingua italiana è nata dal cambiamento. E' nata dalle influenze che il mondo ha avuto sul territorio e da quelle che altri hanno importato da territori esterni.
Pretendere che resti fissa è, a mio avviso, assurdo.
Conservarne memoria è diverso dal congelarla e togliervi vita. E non ci manca la memoria dell'evoluzione che essa ha fatto nei secoli. Fortunatamente abbiamo inventato - a un certo punto nella storia - la scrittura, che ci aiuta a ricordare ogni passo che questa creatura ha fatto: essa e tutte le lingue, indo-europee o altre.
A questo proposito consiglio un podcast che parla esattamente di questo: da dove e come nasce la nostra lingua
https://www.ilpost.it/podcasts/l-invasione/
E' molto affascinante da ascoltare e ci fa capire che nulla nella cultura di un qualunque popolo è immutabile e non dovrebbe esserlo.
La lingua è spesso specchio di come il pensiero di una popolazione si evolve, in bene e in male. Bloccarla è come imbavagliare il suddetto popolo.
Poi ognuno può scegliere per sé stesso come usare la propria lingua, al di la delle regole grammaticali di base, che ci servono per poterci comprendere, per avere un codice comune da usare per costruire il nostro pensiero e veicolarlo nel modo corretto ed efficace.
Integrare vocaboli, modi di dire, culture altrui ha sempre fatto parte dell'essere umano, della sua natura e, onestamente, io la trovo davvero una bella cosa. I confini sono roba inventata; ci provano, a demarcare linee nette nel tessuto dell'umanità, azione che è - per sua natura - divisiva molto più che conservativa di un qualche concetto di qualità.
Sarà che a me piace sapere in che modo altri popoli si esprimono, trovo che arricchisca, molto più che impoverire.
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@Simy
Qui non si sta criticando il naturale sviluppo di una lingua e la sua evoluzione.
Bensì la brutta abitudine di utilizzare termini stranieri inutilmente solo per vezzo ed esterofilia quando esistono corrispondenti vocaboli italiani che significano la stessa cosa.
Dire “ehi boys” perché fa figo invece di dire ragazzi lo trovo un inutile imbarbarimento.
Un conto è l’evoluzione necessaria, diverso inbastardire la propria lingua con termini stranieri non necessari.
Si promuovono convegni per il mantenimento di lingue quasi sconosciute tipo il Ladino e poi non difendiamo l’Italiano?
Un conto è sapere come altri si esprimono, diverso usare la stessa espressione inserendola in un’altra lingua. L’ironica storiella riportata da ricard è esplicativa della cosa.
Qui non c’entra nulla l’evoluzione della cultura ma la cancellazione della propria!
Qui non si sta criticando il naturale sviluppo di una lingua e la sua evoluzione.
Bensì la brutta abitudine di utilizzare termini stranieri inutilmente solo per vezzo ed esterofilia quando esistono corrispondenti vocaboli italiani che significano la stessa cosa.
Dire “ehi boys” perché fa figo invece di dire ragazzi lo trovo un inutile imbarbarimento.
Un conto è l’evoluzione necessaria, diverso inbastardire la propria lingua con termini stranieri non necessari.
Si promuovono convegni per il mantenimento di lingue quasi sconosciute tipo il Ladino e poi non difendiamo l’Italiano?
Un conto è sapere come altri si esprimono, diverso usare la stessa espressione inserendola in un’altra lingua. L’ironica storiella riportata da ricard è esplicativa della cosa.
Qui non c’entra nulla l’evoluzione della cultura ma la cancellazione della propria!
Ultima modifica di Automedonte il lunedì 17 novembre 2025, 23:26, modificato 1 volta in totale.
Cesare Augusto
La fine dell'italiano (e della sua terra di origine)
Come ho letto le prime tre righe di quell'articolo mi veniva da vomitare.
Simy concordo con quello che hai scritto, specialmente per quel che riguarda i confini. Ma entreremmo in un discorso paurosamente più ampio.
Anche la cittadinanza è una creazione se ci pensi. Tant'è che esiste l'autodeterminazione ma idem come sopra.
Sapere come si esprimono negli altri Paesi è si un arricchimento, ma noi parliamo della sostituzione di una lingua, presto o tardi.
E non solo, anche della sostituzione e/o sparizione di una cultura.
Un esempio personale di vita vissuta: quando l'americana che conoscevo venne in italia nel 2000 disse che era delusa perchè si aspettava di vedere la cultura italiana, il modo di vestire, di parlare, ecc. invece le sembrava di essere in america. Ragazzi vestiti come straccioni, cappellini con la visiera all'indietro, skateboard, e così via.
Ed era nel 2000. Pensa se fosse venuta ora.
Una pubblicità in tv: "l'effetto wow".
Taccio per non smadonnare.
Spero che nessuno di qui comperi nel "venerdì nero".
Simy concordo con quello che hai scritto, specialmente per quel che riguarda i confini. Ma entreremmo in un discorso paurosamente più ampio.
Anche la cittadinanza è una creazione se ci pensi. Tant'è che esiste l'autodeterminazione ma idem come sopra.
Sapere come si esprimono negli altri Paesi è si un arricchimento, ma noi parliamo della sostituzione di una lingua, presto o tardi.
E non solo, anche della sostituzione e/o sparizione di una cultura.
Un esempio personale di vita vissuta: quando l'americana che conoscevo venne in italia nel 2000 disse che era delusa perchè si aspettava di vedere la cultura italiana, il modo di vestire, di parlare, ecc. invece le sembrava di essere in america. Ragazzi vestiti come straccioni, cappellini con la visiera all'indietro, skateboard, e così via.
Ed era nel 2000. Pensa se fosse venuta ora.
Una pubblicità in tv: "l'effetto wow".
Taccio per non smadonnare.
Spero che nessuno di qui comperi nel "venerdì nero".
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Difficile non essere d'accordo. Ma lasciami fare l'Avvocato del Diavolo.Simy ha scritto: ↑domenica 16 novembre 2025, 3:19 Integrare vocaboli, modi di dire, culture altrui ha sempre fatto parte dell'essere umano, della sua natura e, onestamente, io la trovo davvero una bella cosa. I confini sono roba inventata; ci provano, a demarcare linee nette nel tessuto dell'umanità, azione che è - per sua natura - divisiva molto più che conservativa di un qualche concetto di qualità.
Pensa di abitare in un qualsiasi paese del Sud del mondo nel Diciannovesimo secolo, l'apogeo del colonialismo europeo.
Tu abiti li ed arriva un Funzionario Coloniale o un Missionario o un Pioniere Colono, animati magari delle migliori intenzioni. Non erano tutti cattivi.
E ti dicono esattamente la frase che ho messo come quote.
Tu onestamente, come la prendi?
(disclaimer: è un discorso puramente speculativo, NON pensare che stia dicendo che siamo invasi in Italia e tutte quelle cose li...sono lontano anni luce da quel concetto con questo ragionamento)
Venceremos.
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https://torino.corriere.it/cronaca/21_n ... 8b5b.shtml
Regà, gettiamo la spugna, l'ignoranza regna sovrana.
Che poi, leggendo più avanti:
Augusta Montaruli, deputato (non vuole essere chiamata deputata)
Per la serie "Il bue che dà del cornuto all'asino"
Regà, gettiamo la spugna, l'ignoranza regna sovrana.
Che poi, leggendo più avanti:
Augusta Montaruli, deputato (non vuole essere chiamata deputata)
Per la serie "Il bue che dà del cornuto all'asino"
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Pensa che noi stiamo facendo di peggio perché ci stiamo autocolonizzandomaylota ha scritto: ↑lunedì 17 novembre 2025, 23:17
Pensa di abitare in un qualsiasi paese del Sud del mondo nel Diciannovesimo secolo, l'apogeo del colonialismo europeo.
Tu abiti li ed arriva un Funzionario Coloniale o un Missionario o un Pioniere Colono, animati magari delle migliori intenzioni. Non erano tutti cattivi.
E ti dicono esattamente la frase che ho messo come quote.
Tu onestamente, come la prendi?
Siamo pieni in televisione e in radio di pubblicità in lingua straniera che non si sa neanche cosa vendano.
Ci sono gli attori di Hollywood che con sguardo sornione e voce paciosa dicono cose che neanche capisci, poi ci meravigliamo se qualche testa calda si stufa e fa una proposta di legge per vietare le pubblicità in lingua straniera
@Gargaros
io della storia dell'asterisco me ne frego, ho rispetto di tutti ma nessuno mi può imporre di parlare come piace a lui per un presunta sensibilità. Queste sono vere repressioni e costrizioni culturali.
Ultima modifica di Automedonte il martedì 18 novembre 2025, 11:03, modificato 1 volta in totale.
Cesare Augusto
La fine dell'italiano (e della sua terra di origine)
La storia dell'asterisco onestamente non l'ho capita.
Lancio un'altra provocazione:
Per quanto riguarda la fine dei dialetti che dite?
M.
Lancio un'altra provocazione:
Per quanto riguarda la fine dei dialetti che dite?
M.
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Una domanda sorge spontanea: # come si pronuncia ?

